Gli strumenti musicali della settimana Santa

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Li sentite questi suoni? proprio questa è la notte dedicata proprio a loro, gli strumenti della settimana Santa!

I rumori tipici di questi giorni sono prodotti con strumenti a percussione o a raschiamento, generalmente qualificati come “strepiti”. La denudatio altaris prevedeva innanzi tutto il silenzio delle campane (alcune venivano addirittura legate con delle funi, per ribadire il concetto) affidando a strumenti di legno il compito di convocare i fedeli alle funzioni religiose.

e quindi via ai suoni di matraccas e taulittas (anche definite troccole, battole, tabelle) l’uso di tali congegni fonici simboleggiava il ritorno a uno stato primitivo e originario della condizione umana: si utilizza un suono umile e sordo al posto di quello squillante e limpido delle campane che rievoca una pratica risalente all’epoca in cui i cristiani si nascondevano ancora nelle catacombe.

il silenzio delle campane simboleggia la fuga degli apostoli incapaci di testimoniare il vangelo, quando però il Cristo ritorna in vita e sconfigge la morte, istantaneamente le campane incominciano a suonare e il “legname” sostitutivo torna nell’armadio per restarci fino all’anno successivo.

Chiara Schirò

Solo musica nelle feste in Sardegna?

g_2Il paesaggio sonoro è costituito da un’insieme di sonorità che nella percezione e nella memoria delle persone rimandano a un determinato contesto spazio-temporale

La festa, da una prospettiva socio-antropologica, non era sinonimo di divertimento ma di semplice opposizione al concetto di quotidianità. Infatti si cambiava anche solo il modo di mangiare e anche il modo di vestire, e soprattutto c’era una maggiore densità di suoni e musica.

Oggi noi possiamo sentire la musica in qualsiasi contesto e luogo, ma un tempo la musica era un bene piuttosto raro e razionato, si poteva vivere solo nell’istante dell’esecuzione; il suono festivo, poi, non si riduceva alla sola musica ma si estendeva a tutto il “paesaggio sonoro” nel complesso, ossia tutti gli “eventi acustici” e sensazioni uditive che contraddistinguono un determinato luogo/occasione.

Alla costruzione del paesaggio sonoro della festa comunitaria partecipavano in primo luogo le campane di chiesa che scandivano la vita delle comunità e che nel giorno della festa eseguivano uno specifico repertorio di arrepiccus, ossia rintocchi rapidi che caratterizzavano il momento.

si aggiungevano le campanelle, i bubboli, i campanacci dei buoi, le esplosioni con i petardi che avevano l’intento di accrescere l’euforia della comunità.

ovviamente i suonatori di launeddas, di organetto, i tamburi, contrapposti al vociare e alle risate delle persone o al lento lamento delle processioni,

gli zoccoli dei cavalli, dei buoi, il saltellare dei bambini, e l’abbaiare dei cani…

la tazzine dei caffè nei bar in piazza, il frusciare dei giornali, le biciclette e i loro campanelli, il vento, le foglie, gli alberi, il canto degli uccelli…

“il mondo è un’immensa composizione musicale” completamente casuale, completamente unica, che si esaurisce e scompare nell’istante in cui si consuma.

Chiara Schirò

Carta geofonica della Sardegna

1547372187519“Sembra una cartina geografica solita, ma reca notizie sui sistemi musicali”, così scrisse A. Galli quando la pubblicò nel 1919.

La musicologia comparata si occupa delle affinità di suono, di linea e di stile tra le diverse culture, mettendole poi a confronto allo stesso modo di come si confrontano le lingue o le conformazioni fisiche del paesaggio, per scoprire ceppi comuni o influenze dovute a dominazioni e passaggi.

Mentre per lo studio della dialettologia la Sardegna va divisa in 3 zone principali (Cagliari, Logudoro, Sassari) per il musicologo si divide invece solo in due grandi regioni: Capo di sotto e Capo di sopra, intendendo con musica caposoprese quelle linee di stile proprie anche di parte della Barbagia, della Planargia, dell’Ogliastra e del Campidano di Oristano.

Fonte: “Sulla musica popolare in Sardegna” G.Fara

La musica come espressione di antichi sentimenti

2bd1da6e77d21531f639c81e815714dfGiulio Fara presentava la musica sarda come “incontaminata espressione di antiche civiltà”

in effetti anche nella musica, come nell’evoluzione delle specie, si riscontrano i più primordiali bisogni ed espressioni sentimentali delle persone; il canto nasceva dalla necessità di esternare particolari stati d’animo oppure di attrarre, individui dell’altro sesso in modo da determinare l’evoluzione della specie. Se ci si pensa, in natura il canto degli uccelli si basa sugli stessi presupposti.

I sentimenti di cui sopra, che informano tutte queste melodie sono gli stessi che dovettero ispirare i primi rudimenti del canto dell’uomo primitivo: il bisogno di una madre di cullare un bambino, il pianto per i morti, il bisogno del canto nell’ardore dell’amore o della guerra, nel divertimento ed ebbrezze di una danza giocosa, o la contentezza domestica.

Per questo motivo la musica sarda risulta tanto varia, in una terra ancora così radicata nelle sue tradizioni e ancora così incontaminata, la musica risulta con caratteristiche assolutamente uniche, una misura non è uguale all’altra, i ritmi instabili e i procedimenti melodici sono tanto indecisi da non riuscire a dare l’idea chiara della tonalità di un pezzo.

Nella provincia di Cagliari e in tutta la regione Meridionale la musica ha un carattere essenzialmente triste, semplice, selvaggio, proprio dell’uomo primitivo; al contrario nel Logudoro e nella provincia di Sassari la musica conserva i caratteri e le tracce di antichi popoli che vi hanno dominato, presentando melodie assolutamente orientali, facilmente riconoscibili per la ricchezza delle fioriture.

Secondo Murray Schafer la musica è la più limpida espressione della stabilità di un popolo, nelle aree in cui una comunità prospera essa è in grado di tenere sotto stretto controllo la musica e risulta fortemente strutturata. Qualsiasi etnomusicologo può confermarlo, esistono pochi dubbi sul fatto che la musica sia uno strumento rivelatore della propria epoca, un mezzo capace di fissare avvenimenti sociali e politici, ricco di sintomi e indizi per chi sappia leggerne i messaggi.

Chiara Schirò

Origini della musica sarda

Le melodie sarde, tutte queste canzoni bizzarre e strane, dai ritmi saltellanti, come di danze selvagge, oppure tristi e monotone come nenie o cantilene, ma qual è la loro origine?

Il musicologo avvalendosi di nuovi e precisi strumenti di misurazione acustica e psicoacustica, ma soprattutto di registrazioni fonografiche, confronta musiche di tutto il mondo, per valutare il loro stadio evolutivo, individuarne substrati e adstrati e stabilirne la cronologia.

Uno degli etnomusicologi più importanti in Sardegna, Giulio Fara pubblicò la sua “composizione chimica” delle diverse tradizioni musicali sarde già nel 1922

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Gli oggetti sonori

Molti sono gli oggetti che vengono utilizzati in ogni parte del mondo per produrre suoni.

L’etnomusicologia si occupa di questi fenomeni studiando soprattutto le motivazioni che spingevano le persone a percuoterli, di gran lunga più importanti delle caratteristiche fisiche.

Le loro caratteristiche principali erano la disponibilità immediata e il valore simbolico.

Ad esempio molto interessante è la funzione magica attribuita alla percussione di pentole e tegami e la credenza che potessero comunicare qualcosa con l’aldilà, oppure si percuotevano dei sassi l’uno contro l’altro (soprattutto a Gavoi c’era una forte tradizione) ma anche bacchette, bastoni, martelli; erano considerati strumenti strepitio associati a rituali, riti derisori o di protesta.

la bottiglia percossa da una chiave oppure un piatto e una chiave, così come tutti gli strumenti lignei in chiesa (banchi sgabelli), oppure ancora gli scarponi e gli zoccoli con suola di legno. Creare invece delle canocchie con dentro dei semi o dei sassolini aveva un significato magico e protettivo.

Si può fare qualche confronto con altre parti d’Italia: in Calabria si usavano 3 cucchiai (idiofoni a strappo) 2 messi l’uno contro l’altro con a contatto la parte convessa e uno in mezzo per provocare il distacco e la percussione dei primi due, oppure ancora battere una contro l’altra le armi (danze armate).

Questi particolari tipi di strumenti musicali sono chiamati IDIOFONI, cioè tutti quegli oggetti che suonano senza specifici interventi umani che ne modifichino la struttura, infatti sono capaci di per se di produrre vibrazioni sonore senza il ricorso ad accorgimenti come la messa in tensione di membrane o corde.

Un esempio molto significativo in Sardegna sono le Castagnette (tabellas): erano tavolette impugnate tra le dita di una mano e fatte battere reciprocamente da movimenti del polso, in Sardegna erano in pietra e avevano all’interno una cavità per accentuare il suono, in altre regioni potevano avere altre forme e altri materiali.IMG_7375

 

Chiara Schirò