Il Carnevale da sempre racchiude in sè atteggiamenti e gesti “anti-qualcosa”, era la giornata in cui era concesso al popolo di capovolgere la normalità delle cose, anche quella di perpetuare antiche pratiche magico-religiose precristiane.
Infatti alcune maschere isolane non corrispondono affatto all’idea gioiosa e irriverente che si ha del carnevale, presentandosi invece come cortei composti, tetri e silenziosi, proprio perchè nascono in altri contesti ancestrali di riti agrari ,che hanno trovato modo di esprimersi nella settimana che precede l’inizio della Quaresima.
In questo contesto il suono sembra assumere in sè un valore simbolico determinante: Nel caso dei Mamuthones il significato è di contrapposizione tra il “selvatico” e la civiltà, simboleggiano l’antitesi natura/cultura evidente soprattutto negli abiti di pelliccia, maschere con corna, teste di animali ecc., diversi a seconda del luogo della Sardegna (boes a Ottana, Ursu di Sassari); ma quello che li accomuna tutti è il tintinnio di campanelle e campanacci che in vario numero, forma e dimensione pendono dal corpo dell’uomo animale e che connotano, nel loro suono, il dramma.
Il significato ultimo è appunto il tentativo dell’uomo di dominare la natura, di renderla meno imprevedibile e sfruttarla; l’esito della vicenda che vede l’uomo trionfante è di conforto per l’intera comunità; la stessa cosa accade per il suono, perchè il tintinnio disordinato, rumoroso e agreste che caratterizza l’incedere delle maschere, diventa ritmo, ordine, si muovono sincronicamente e lo scatto aziona centinaia di campane.
Negli altri carnevali il rumore rimane rumore, a Mamoiada diventa musica, cioè, nella definizione di uno dei più grandi compositori del Novecento, Edgard Varese “suono organizzato”.
Chiara Schirò