Il paesaggio sonoro è costituito da un’insieme di sonorità che nella percezione e nella memoria delle persone rimandano a un determinato contesto spazio-temporale
La festa, da una prospettiva socio-antropologica, non era sinonimo di divertimento ma di semplice opposizione al concetto di quotidianità. Infatti si cambiava anche solo il modo di mangiare e anche il modo di vestire, e soprattutto c’era una maggiore densità di suoni e musica.
Oggi noi possiamo sentire la musica in qualsiasi contesto e luogo, ma un tempo la musica era un bene piuttosto raro e razionato, si poteva vivere solo nell’istante dell’esecuzione; il suono festivo, poi, non si riduceva alla sola musica ma si estendeva a tutto il “paesaggio sonoro” nel complesso, ossia tutti gli “eventi acustici” e sensazioni uditive che contraddistinguono un determinato luogo/occasione.
Alla costruzione del paesaggio sonoro della festa comunitaria partecipavano in primo luogo le campane di chiesa che scandivano la vita delle comunità e che nel giorno della festa eseguivano uno specifico repertorio di arrepiccus, ossia rintocchi rapidi che caratterizzavano il momento.
si aggiungevano le campanelle, i bubboli, i campanacci dei buoi, le esplosioni con i petardi che avevano l’intento di accrescere l’euforia della comunità.
ovviamente i suonatori di launeddas, di organetto, i tamburi, contrapposti al vociare e alle risate delle persone o al lento lamento delle processioni,
gli zoccoli dei cavalli, dei buoi, il saltellare dei bambini, e l’abbaiare dei cani…
la tazzine dei caffè nei bar in piazza, il frusciare dei giornali, le biciclette e i loro campanelli, il vento, le foglie, gli alberi, il canto degli uccelli…
“il mondo è un’immensa composizione musicale” completamente casuale, completamente unica, che si esaurisce e scompare nell’istante in cui si consuma.
Chiara Schirò